Anche se Il primitivismo di Manicardi e Zerzan non pare riesca a dare una spiegazione sulle cause della catabasi della società occidentale, è interessante la posizione chiara che smaschera la natura del “progresso” moderno che nulla ha di progredito sul piano della creazione di bellezza, pace, armonia, salute e rispetto del tutto vivente e non… crediamo sia importante dopo aver smascherato ciò che non va anche prendere consapevolezza che il rovesciamonto ed il cambiamento è sempre possibile a partire da un cambio di prospettiva ontologica dell’individuo.
Archivio mensile:Dicembre 2017
IL PRIMITIVISMO DI ZERZAN per rileggere i tempi che viviamo
Proponiamo oltre alle letture dei libri di Jhon Zerzan, questo estratto sull’agricoltura convinti che un nuovo abitare non possa che ripartire da una analisi e rilettura profonde della società in cui viviamo:
AGRICOLTURA
di John Zerzan
tratto da Terra Selvaggia #5 (aprile 2001)
L’agricoltura, fondamento indispensabile della civilizzazione, fa la sua comparsa originaria una volta emersi tempo, linguaggio, numero e arte. Alienazione che si materializza, l’agricoltura è il trionfo del distacco e della definitiva separazione tra cultura, natura ed esseri umani.
L’agricoltura è la nascita della produzione, nella sua caratteristica essenziale di deformazione della vita e della coscienza. La terra stessa diventa lo strumento di produzione e le specie viventi del pianeta i suoi oggetti. Selvatiche o addomesticate, erbacce o colture esprimono quella dualità che storpia l’anima del nostro essere, introducendo, relativamente in fretta, il dispotismo, la guerra e l’impoverimento della civiltà avanzata su quell’unione con la natura che caratterizzò l’era precedente. La marcia forzata della civilizzazione, che Adorno riconobbe nella “ipotesi di una catastrofe irrazionale all’inizio della storia”, che Freud considerò come “qualcosa di imposto a una maggioranza renitente”, in cui Stanley Diamond ritrovò soltanto “coscritti, non volontari”, fu dettata dall’agricoltura. Mircea Eliade valutò giustamente che il suo avvento “provocò sconvolgimenti e collassi spirituali” di cui la mentalità moderna non può neanche immaginare la portata.
“Livellare, standardizzare il paesaggio umano, cancellarne le irregolarità e bandire le sue sorprese”, queste parole di E.M. Cioran si applicano perfettamente alla logica dell’agricoltura, incarnazione e generatrice di un’esistenza divisa, termine della vita come attività principalmente sensuale. Fin dal suo inizio l’artificialità e il lavoro sono aumentati costantemente e li conosciamo come cultura: addomesticando piante e animali l’uomo necessariamente addomesticò sé stesso.
Il tempo storico, come l’agricoltura, non è insito nella realtà sociale ma è un’imposizione su di essa. La dimensione del tempo, o storia, è funzionale alla repressione, basata sulla produzione o agricoltura. Nella sua immediatezza e spontaneità, la vita dei cacciatori-raccoglitori era contraria al tempo, mentre quella dei coltivatori genera un senso del tempo con la rigidità dei suoi continui impegni e la sua ordinata routine. Non appena l’apertura e la varietà della vita del Paleolitico lasciarono il posto alla letterale chiusura dell’agricoltura, il tempo prese il potere e finì per assumere il carattere di uno spazio chiuso. I punti di riferimento formalizzati del tempo – le cerimonie con date prefissate, il dare un nome ai giorni, ecc. – sono cruciali per l’ordinamento del mondo della produzione: come una tabella produttiva, il calendario è complementare alla civilizzazione. Al contrario, non solo la società industriale sarebbe impossibile senza orari, ma la fine dell’agricoltura (base di tutta la produzione) significherebbe la fine del tempo storico.
La rappresentazione inizia con il linguaggio, strumento per imbrigliare il desiderio. Sostituendo le immagini autonome con simboli verbali, la vita viene ridotta e sottomessa a un rigido controllo; tutta l’esperienza diretta, non mediata, viene sussunta in quel modo supremo di espressione simbolica che è il linguaggio. Il linguaggio frammenta e organizza la realtà, come dice Benjamin Whorf, e questa segmentazione della natura, che è un aspetto della grammatica, prepara il terreno all’agricoltura. Julian Jaynes, infatti, arriva alla conclusione che la nuova mentalità linguistica ha portato direttamente all’agricoltura. Senza dubbio, la cristallizzazione del linguaggio nella scrittura, imposta soprattutto dalla necessità di tenere il conto delle transazioni agrarie, è il segnale che la civilizzazione è iniziata. Continua a leggere